Barack Obama conquista nuovamente le prime pagine dei principali diari del mondo. La notizia ha riempito la web di opinioni a favore ed in contro, ha causato sorprese, critici e rassicura. Con un po' d’immaginazione si può dire che per strade delle principali città statunitensi, a favore o non del premio Nobel, si lasciasse ascoltare la fervorosa acclamazione: "Obama does it, again" si tratta della terza volta che riceve il Nobel della Pace un presidente degli Stati Uniti in attivi, dopo Theodore Roosevelt (1906) e di Woodrow Wilson (1919).
Quando stava nella scuola esisteva una qualificazione al buon comportamento nel salone di lezioni e davanti alle qualificazioni finali, il sentimento provocato in tutti era di delusione, perché la nostra forma di qualificare il comportamento degli altri differiva dell'apprezzamento del professore. Ma è anche certo che non bastava con la promessa iniziale “mi comporterò bene nella sua classe" affinché a pochi giorni si assegnasse una buona qualificazione. Chi ottenevano generalmente buoni risultati, nonostante la visione degli altri, era perché avevano risaltato in buon comportamento durante tutto anno. Ricevere dai primi giorni una qualificazione favorevole avrebbe significato ricevere anche un gran compromesso di fronte al professore e di di fronte agli altri; poiché la minaccia di arrivare a defraudarli sarebbe sempre vigente. Questo fatto può esemplificare quello che succede ora col Premio Nobel della Pace il quale è il più soggettivo, il più criticato e per molti, il più screditato. Istituito per inventore svedese Alfred Bernhard Nobel, il premio è concesso alle "persone che hanno lavorato più o migliore a beneficio della fraternità tra le nazioni, l'abolizione o riduzione degli eserciti esistenti e la celebrazione e sviluppo di processi di pace". Senza dubbio che fra i personaggi del secolo XX che si caratterizzarono per la sua lotta pacifista possono risaltare tra altri a Mahadma Ghandi chi, per certo, non vinse mai quel premio. E sebbene questo è certo lo è anche che lo sradicamento della povertà, la difesa degli alberi e la salute pubblica sono cause straordinariamente nobili; cause che al mio giudizio poco hanno a che vedere con la pace, ma che sono stati premiate col Nobel.
Nell'annuncio del premio, realizzato in Oslo, Norvegia, si indicò che ero consegnato al leader statunitense dai suoi "straordinari sforzi per fortificare la diplomazia internazionale e la collaborazione tra i paesi". Ora stiamo di fronte ad un premio concesso alle promesse, ai discorsi che Obama ha realizzato da distinti angoli del mondo, durante questi mesi del suo governo, nei quali ad enfatizzato il suo compromesso di lottare contro situazioni che generino violenza, ha optato per la via del dialogo e la diplomazia e da questa percezione si può dire che il premio concesso è magari il riconoscimento ad una nuova rotta politica.
Mentre i discorsi continuano nell'aria a fare eco nei recinti amministrativi di Oslo, il mandatario venezuelano ha fatto sentire il suo dispiacere nella sua colonna settimanale 'Le linee di Chávez', da dove ricorda quello che la giuria dimenticò: la determinazione di Obama per perpetuare i suoi battaglioni in Iraq ed Afghanistan, e la sua decisione di installare nuove basi militari in Colombia. La cosa certa è che il prossimo 10 dicembre in Oslo, Norvegia; il presidente degli Stati Uniti, Barack Obama, sarà premiato col premio Nobel di Pace per i suoi sforzi per rinforzare la diplomazia mondiale e costruire la pace. E mentre il riconoscimento verrà ad estendere la "Egoteca" del mandatario, la Casa Bianca annunciò che il denaro che riceverà Obama sarà donato ad entità di carità.
In questo ambiente di sorprese, critiche e speranze, solo mi sottrae dire che il premio mette agli Stati Uniti davanti allo sguardo di tutti, e che ora le politiche esterne e di relazione coi paesi in conflitto, dovranno essere pensato meglio, gli occhi del mondo saranno sistemati su quello che faccia il primo presidente nero di quella nazione. Il premio ha generato la speranza che il compromesso sia in forma completa e visibile, ed il suo periodo di governo di distingua per lavorare nella costruzione della pace oltre le frontiere del suo paese. Se non lo fa, non gli rimarrà più rimedio che restituire il Premio Nobel ad Oslo.
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